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A LEZIONE DI POESIA, LETTERATURA E POLITICA CON NICHI VENDOLA

Giunto a Ruvo di Puglia, l’ex presidente della regione Puglia, Nichi Vendola ha presentato la sua nuova uscita editoriale, Patrie, pubblicato da Il Saggiatore.

Trattasi di una raccolta di poesie che ripercorrono gli avvenimenti accaduti durante la sua carriera politica e la vita privata. Si leggono versi tutt’altro che retorici e artefatti bensì schietti e sinceri, fonte di quella realtà vissuta che gli ha dato modo di costruirsi una propria visione politica, la stessa individuabile nelle poesie. Oltre a questa, c’è la lotta contro tutto ciò che non si è potuto migliorare sebbene la Storia ne mostri l’esempio dal passato.  “E’ la mia ribellione allo stato delle cose” dice l’autore.

L’evento, organizzato nell’ambito della rassegna NutriMenti a cura di Sinistra Ruvese, è stato presentato da Antonio Mazzone e ha visto la costruzione di un dialogo tra l’ex governatore e Michelangelo De Palma e Claudia Rutigliano.

“I titoli di giornale ti definivano ‘il presidente poeta’ – riferisce De Palma e chiede ironico – Come hai fatto e come vivi questa transumanza dalla politica e poetica collettiva di quel tempo alla scrittura. Stai meglio ora o stavi meglio prima?”

Prima di rispondere, Nichi Vendola riferisce della contentezza che lo ha portato a Ruvo, città alla quale dice di essere molto affezionato. “Sono emozionato di tornarci anche alla luce di un’importante conferma. Ho lavorato con Chieco in regione con tanti anni. Ruvo è una delle città a cui devo molto”. Ricorda il legame con la città attraverso le figure di Mimmo Mastrorilli ed Eva Gadaleta: “Ero bambino quando gli ho conosciuti; venivano a casa dei miei zii.  Origliavo il suono delle loro parole: forse è li che ho iniziato ad innamorarmi delle parole“.

Sono queste, le parole, le protagoniste dell’incontro. “Le parole sono musica, sono il senso del mondo – dice Vendola – Quando le parole sono avvelenate il mondo si guasta. Avere cura delle parole è un impegno poetico e politico fondamentale. Non possiamo immaginare futuro migliore se la contesa avviene nel magma dei veleni“.

Anche le sue sono parole che, così come, in generale e nel tempo, il linguaggio ha segnato la politica. Parla di uno, in particolare, che chiama  “Plebeismo piccolo-borghese” nato da Bossi, Berlusconi che è, poi, diventato sovranismo che nasconde l’odio. “Stanno tornando i veleni del passato – dice – e il mio libro è in contrasto con questi“.

Molti i riferimenti letterati e storici per spiegare come “le parole facciano il mondo”: dal dialogo di Ulisse e Polifemo, al linguaggio nazista e dittatoriale, al passo evangelico Ero straniero e mi avete accolto. Ricorda qui Aylan Kurdi, il piccolo profugo siriano annegato nell’ottobre del 2015 davanti alla spiaggia di Bodrum, “la Rimini della Turchia” la definisce Vendola. “Questo libro è allora la mia ribellione allo stato delle cose“.

E così Claudia Rutigliano chiede se c’è stato, nella vita e carriera dell’ex governatore, un momento che ha cambiato la sua percezione di realtà.

Nichi Vendola ne ha ben tre di questi momenti. Il primo, più in generale, è l’incontro con la politica. “Per me la politica è stata la scoperta del mondo – dice quasi nostalgico –  Non mi manca la poltrona o il  titolo ma quel cimento collettivo che ti spinge ad andare verso orizzonti spericolati“. E per lui c’è un fil rouge tra l’arte e politica: “Cosa rende una poesia autentica? Il fatto che non descrive il profumo della rosa: o lo senti o non è poesia. La poesia non è riflettere su quello che è ma è invenzione che elabora ciò che è stato nella propria esperienza cognitiva“.

Gli altri due momenti essenziali della sua vita sono la morte dei  genitori e nascita del figlio Tobia. “Sono le cose mi hanno ricollegato al tempo” dice, le stesse non raccontabili come se fossero consuetudinarie: “Ci sono cose non si possono dire a voce, che sono difficili da elaborare e allora le scrivo”.

E’ qui che Raffaella Giancipoli legge magistralmente la lirica Montreal, scritta in memoria della nascita del figlio.

Altro round di dialogo. Si toccano temi storici e allo stesso tempo biografici per l’ex governatore. Esempio è il G8 di Genova del 2001 con i massacri della Diaz: “A Genova ho avuto più paura di essere ucciso piuttosto che a Sarajevo. Tornato da lì mi chiusi in casa per 20 giorni e scrissi”.

E poi ancora la poesia con riferimenti a Pasolini. “La poesia è una perdita di tempo perché sfugge alla razionalità calcolistica, all’utilitarismo. Siamo succubi dell’ideologia che monetizza il tempo. E’ un prendere e perdere tempo e io voglio sfuggire da questo circuito infernale. Mi libero del tempo che hanno deciso gli altri, mi prendo il mio tempo, quello della soggettivizzazione, tempo per sé”.

Conclude: “Per questo la poesia è molto complessa come tutte le arti: ha in sé il bisogno di Storia e il bisogno di fuggire dalla Storia“. Poi, in riferimento all’affossamento del DDL Zan, dice: “Alla fine non vinceranno loro. Occorre avere cura delle parole: questa è la necessità della politica. Solo così possiamo vincere noi”.

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