Attualità

ALESSANDRO PELLEGRINI: “NON SIAMO EROI, FACCIAMO SOLO IL NOSTRO DOVERE”

Le storie di chi è impegnato a combattere sul fronte l’emergenza Covid-19 servono per far comprendere alla gente che in questo momento nulla è più importante della propria vita e che serve restare a casa. Tutto è superfluo dinnanzi al rispetto delle regole e all’obbligo di rispettare le prescrizioni.

Non si sente un eroe, non vuole essere chiamato eroe, Alessandro Pellegrini, infermiere professionale ruvese in servizio presso il Policlinico di Bari. La sua vita è cambiata all’improvviso, come accaduto a numerosi suoi colleghi, medici, ausiliari. Il primo caso di ricovero di un paziente affetto da Coronavirus cambia il corso delle cose, trasforma la quotidianità, l’operatività. Non si è mai preparati a vivere un’emergenza: ci finisci dentro senza un motivo.

“Non siamo eroi”, dice Alessandro. “Io non mi sento tale, perchè faccio le cose che ho sempre fatto: salvare vite umane. Ero piccolo quando ho capito di avere questa vocazione e ci sto mettendo dentro tutto me stesso. Io, con i miei colleghi abbiamo un solo obiettivo: salvare vite umane”. La sua voce è rotta più di una volta dall’emozione come quando racconta del compleanno di una paziente di 68 anni festeggiato in reparto o quando chiede a gran voce di non bloccare il telefono dei pazienti ricoverati con il codice PIN, diventa poi difficile comunicare con chi è a casa.

“E’ una battaglia che combattiamo non sempre con i dispositivi che dovremmo avere. Ieri ho utilizzato le maniche dei camici al posto dei calzari. Ci siamo scritti i nomi sulle tute perchè i pazienti conoscono solo i nostri occhi”, racconta.

E’ preoccupato degli altri pazienti che sono in attesa di ricevere cure e che spesso rimangono abbandonati a casa: “Quando si dice si muore “per il covid-19″ si intende anche questo. I malati di tumore, pazienti che vanno monitorati quotidianamente: ho paura per loro”. Gratuitamente cerca di aiutare i suoi concittadini il più possibile.

Poi le lacrime: “Ho ricevuto un sms dal mio storico professore di italiano della scuola media. E’ di un’intensità che mi ha fatto felice. Vediamo scene dure difficili, eppure la gente ci sostiene, è con noi. Se vedessero il dramma di questo male con i propri occhi sarebbe tutto diverso. Serve davvero il senso di responsabilità di tutti e ne veniamo fuori”.

Tredici, quattordici ore di servizio, senza mai bere, senza mangiare, senza poter andare in bagno: “Alle volte siamo cs stremati tra un cambio turno che neanche abbiamo fame. Ci siamo calati interamente in questa battaglia. E’ dura lavorare in queste condizioni, ma non abbiamo alternative”.

Tanti medici e infermieri hanno deciso di allontanarsi dal proprio nucleo familiare, scatenando una problematica sociale: “Ci aiutiamo l’uno con l’altro. Io sono a casa, ma rispetto le varie disposizioni per proteggere i miei cari”.

Infine, il saluto ottimistico: “Ce la faremo!”.

 

 

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