Religione

LUCE E VITA: "Questione di simboli"

Si è concluso nei giorni scorsi a Bari il simposio internazionale “Cristiani in Medio Oriente: quale futuro?”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, alla presenza dei patriarchi delle Chiese d’Oriente e d’Occidente. Il grido di dolore e l’appello delle minoranze cristiane in Medio Oriente è risuonato forte contro una indifferenza assordante del mondo occidentale, nonostante i reiterati appelli del Papa. La situazione a riguardo è allarmante e già più volte, da queste colonne, abbiamo proposto la gravità del problema perchè noi, che non abbiamo particolari situazioni di persecuzione o di impedimento nella libera professione di fede, non possiamo non avvertire il dolore per tanti fratelli nella fede, persone innanzitutto, che testimoniano con il sangue l’amore per Cristo. Non pensavamo si potessero ripetere eventi relegati nei libri di storia e, anzi, con una più marcata ferocia.
Quella ferocia inaudita dello Stato Islamico, che affonda le radici in una distorta e brutale interpretazione del Corano, fa paura, ma sembra quasi che ci si stia abituando alle efferatezze che compiono e che espongono sui mass media.
«Pilatesca stasi» l’ha chiamata Chrisostomos II, arcivescovo ortodosso di Nuova Giustiniana e di tutta Cipro: «Guardiamo con dolore i drammatici fatti che hanno luogo, da molti anni, in Medio Oriente e specialmente nella nostra vicina Siria. Ma se quello che sta accadendo in Siria ci provoca dolore e disgusto, che dire della pilatesca stasi dei potenti della Terra? Cosa dire delle Nazioni Unite, che sono state fondate nel nome della pace e che si vantano della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e della lotta per essi? Rimangono – purtroppo – semplici spettatori di ciò che sta accadendo nei nostri Paesi confinanti». «Semplici spettatori» anche nel 1974, e continuano a rimanere tali ancora oggi a Cipro, dove i turchi «illegalmente occupano il 38% del nostro territorio e un totale di 520 nostre chiese, molte delle quali distrutte».
La Chiesa italiana si è data un appuntamento di preghiera, nella prossima veglia di Pentecoste, per i fratelli cristiani perseguitati.
Tutto ciò che non rientra nella visione islamica diventa oggetto di distruzione: persone, comunità, musei, chiese, simboli.
Già, i simboli! Una questione annosa che di tanto in tanto balza alla cronaca nazionale o alla polemica locale. E non è difficile asserire che quando si attaccano i simboli di una religione, come di qualsiasi altra organizzazione, lo si fa unicamente per demolire i valori di cui sono rappresentativi.
Proprio nello scorso marzo al Cassero di Bologna, locale del Comune dato in gestione al circolo Arcigay, è andata in scena una notte di blasfemia in cui si è toccato il fondo di una volgarità inaudita nel disprezzo della religione cristiana, nel suo simbolo principale, il crocifisso. Irridere e volgarizzare persino la morte di Gesù in croce per affermare che il cristianesimo, e il cattolicesimo in particolare, “sia-no nemici della libertà, delle giuste rivedicazioni, del progresso scientifico, della laicità, della democrazia” come ha scritto il card. Caffarra. Avviene anche in casa nostra che si imbrattino i muri delle chiese o che i simboli del cristianesimo rechino disturbo a qualcuno, vengano considerati come un voler marcare il territorio, imporre una visione. É stato il caso del “Buon Pastore”, statua collocata nei pressi di via Giovene per celebrare i 100 anni della parrocchia S. Domenico a Molfetta. Se la polemica montata sui media verteva solo sul piano estetico allora è questione di gusti. Sono stato a vedere la statua e ho trovato giovani che sostavano e non mi sembravano scandalizzati, gli abitanti dei pianterreni che salutavano con entusiasmo il parroco don Franco e tutto sommato erano contenti del nuovo coinquilino, adornato con fiori freschi. Da notare che adiacente alla piazzetta è la casa canonica dove quotidianamente la parrocchia offre accoglienza e cibo a circa 25 persone, come un “buon pastore” che si prende cura del gregge; anche questo desta polemica? C’è qualcuno che, oltre a polemizzare davanti ad uno schermo, ha voglia di dare una mano? Poi della bellezza della statua se ne può parlare. Ma sotto sotto è possibile riscontrare una opposizione etica più che estetica, un rifiuto ideologico verso un simbolo che invece ispira accoglienza, pace, premura, serenità. E questi sono valori che fanno bene a tutti, anche a non credenti. Non riusciamo ancora a comprendere che il dialogo interculturale ed interreligioso non si alimenta con l’abolizione dei simboli altrui; l’integrazione e la tolleranza vuole proprio il contrario, cioè il riconoscimento e il rispetto di quanto è sacro per l’altro. E, per fortuna, noi possiamo ancora parlarne, ma con moderazione.

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