Cultura

A CENT’ANNI DALLA NASCITA DI DON MILANI A SERRA PETRULLO ARRIVA EDOARDO MARTINELLI, ALLIEVO DI DON LORENZO

Martedì 27 giugno, ore 18.00, attorno al piccolo melo di don Milani del Viale dei Giusti di Serra Petrullo, Ruvo di Puglia, Edoardo Martinelli, allievo di don Lorenzo nella scuola di Barbiana, uno dei ragazzi estensori della “Lettera a una professoressa” (1967), ci incontra per narrarci di quella profetica e inattuale parola, a cent’anni dalla nascita del priore.
La Fondazione “Angelo Cesareo” ci accoglierà distribuendo mele e, a cura del maestro Gege’ Scardaccione, segnalibri dell’evento.
Se vorrai, potrai essere con noi.
Dalla Curia di Firenze don Lorenzo Milani (1923-1967) era stato confinato nella minuscola e sperduta frazione del Mugello, Barbiana, fatta di umili e povere casupole, tra pendii e monti, perché aveva mostrato troppa vicinanza ai poveri, agli operai e, così , aveva sviato da quel “retto sentiero del giudizio”. Lui che aveva donato qualche “mela” a quegli emarginati, non mostrava di adoperare alcun linguaggio che fosse “politicamente corretto” verso le autorità e i poteri. Ma quale “giudizio”si può avere, quale linguaggio “politicamente corretto”, se prima non si ha la forza di guardare e, spogliandosi, di porsi dal basso, da ciò che non è, da ciò che è margine?
Figlio di un’ebrea di famiglia di origine boema, era cresciuto in un ambiente di grande cultura, di ampio respiro europeo, e le mele del sapere, per altri frutto proibito, erano state il suo prediletto cibo. Quel cibo si era fatta anche grande conoscenza di lingue. E poi amore per la pittura, mela della sua passione giovanile.
Prima della conversione, prima dello “stretto” Seminario, prima di quella “caduta” nella fede che muove le montagne e incendia i cuori, riservatamente il suo cuore aveva battuto anche altrove, si era fatto dolce sentimento.
 Ma Lorenzo cercava la parola e il movimento profondo verso gli ultimi, con la sua prorompente, aspra e inquieta personalità.
 Lui cercava quel frutto proibito, quella mela che si chiama parola…Parola, mela da donare!
Una parola creatrice, generatrice, liberatrice (il suo profondo ebraismo). Una parola che, cristicamente, sa farsi “carne”, anzi nella “carne” sa abitare per cambiarla. La sa far vivere, la “carne”, per elevarla. Per aiutarla a risorgere e rigenerarsi, con il sapere e la cultura, con la lingua (“È solo la lingua che rende uguali…”), a una nuova vita. Per liberare, con la scuola,”i sudditi e gli sfruttati, trasformandoli in popolo sovrano, in cittadini consapevoli e capaci di rivendicare i propri diritti.” In uomini.
“Chi sa volare, non deve buttare via le ali per solidarietà con i pedoni, deve piuttosto insegnare a tutti il volo”. Perché “non di solo pane vive l’uomo”, perché “la povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo. Si misura sul grado di cultura e sulla funzione sociale…sui valori culturali.”
Il pane di domani sarà, allora, quello che nutrirà ognuno (nella differenza) e tutti (nell’inclusione).
Ma quella parola, in don Milani, vive di passione bruciante, compassione urticante che non può rimanere nel silenzio del ghetto e del “politicamente corretto”. Sa adoperare, coraggiosamente, quella sua parola, le mele come sassi di un nuovo Davide verso il Golia dei poteri e delle autorità. Delle ipocrisie e del bieco conformismo. Contro il Golia delle sottaciute e inespresse, più pericolose ingiustizie (“Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali tra disuguali.”). Contro il Golia della obbedienza che non può essere più una virtù. Non sa tacere, di fronte alle varie forme di umiliazione dei più deboli e di negazione della nostra dignità, quella parola, per quietismo compiacente, compromissorio, falsamente ecumenico e accomodante verso la società e il mondo… Non sa farsi esclusivo amore di sé… Sa dire, invece, “I care”, ho a cuore, come viscere materne, per il proprio figlio… No, “me ne frego”, “tu non esisti nella tua povertà e nel tuo dolore”. In quelle viscere saprà, invece, posizionarsi, saprà incondizionatamente camminare.
“Non vedremo sbocciare dei santi finché non ci saremo costruiti dei giovani che vibrino di dolore e di fede pensando all’ingiustizia sociale.”
Ma quella parola doveva trovare il giusto innesco, il suo vero, solitario contesto per manifestarsi. E cosa, per quella parola, per quella profezia, per quella mela di fruttificare, se non la sua totale marginalità, il suo essere escluso dalla società ed essere condannato “fuori dal mondo”…?
Non capivano!
Quella condanna era il suo salato e nutriente alimento, quello che doveva essere il suo deserto, il suo potente reagente chimico, la sua esplosiva scintilla…la sua forza!
“I care”, ho a cuore…
Barbiana: periferia, che come periferia di esclusi, sa farsi nuovo, eccezionale, diverso “centro” per un radicale cambiamento, per una scuola che sappia ripensarsi dai suoi fondamenti, sappia capovolgersi, come una piramide. Una scuola che sappia preoccuparsi “non di come fare scuola ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola…per dare ai passerotti buttati nel cielo della vita, ali per volare”. Una scuola della parola che sa rigenerare…trasformare gli ostacoli e le differenze in opportunità per gli altri…
Barbiana, oggi…
Ma dove, oggi, saranno, tra nuove e povere casupole tra monti e altre periferie, quelle mele da raccogliere e donare? Quelle mele da lanciare anche, fino a stordire e risvegliare dal profondo, quieto, routinante, accomodante torpore? Chi afferrerà e vivrà la parola che rigenera, libera, chi potrebbe smuovere le montagne da molto tempo cristallizzate e inaridite dai troppi compiacenti bilanciamenti, dai vacui e pavidi sorrisetti? Quella parola che potrebbe anche risvegliare dal sonno chi non è più. Chi, facendosi e rimanendo marginalità, saprà dire con don Lorenzo:
” Mi piego, Pipetta, a soffrire con te delle ingiustizie. Ma credi, mi piego con ripugnanza…
Ma il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco, installata insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordatene, Pipetta, non ti fidare di me, quel giorno, io ti tradirò.
Quel giorno non resterò là con te. Io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso.”(Lettera a Pipetta)

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