Attualità

DOPO IL TOVAGLIOMETRO E IL BOTTIGLIOMETRO PER I RISTORATORI ARRIVA IL GUANTOMETRO PER I MEDICI ODONTOIATRI

La Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 4168 del 21/02/2018 ha stabilito che è legittimo l’accertamento all’odontoiatra fondato sul numero di guanti monouso acquistati nel corso dell’anno.

La vicenda processuale vede protagonista un medico odontoiatra titolare di due studi professionali al quale l’Agenzia delle Entrate aveva notificato un avviso di accertamento fondato sulla ricostruzione analitico-induttiva dei ricavi effettuata tenendo in considerazione la quantità di materiali “usa e getta” acquistati dal professionista che, secondo l’ufficio, rappresentava un indizio dell’esistenza di prestazioni non fatturate. Il contribuente proponeva ricorso dinanzi al giudice tributario eccependo l’illegittima applicazione del metodo analitico-induttivo poiché la contabilità risultava regolarmente tenuta e in ogni caso la pretesa risultava fondata su un unico elemento, vale a dire il numero di guanti impiegati. Inoltre lo studio di settore relativo a quel periodo d’imposta risultava congruo e coerente.

Il contribuente risultava soccombente nei due gradi di merito e pertanto ricorreva in Cassazione. La Suprema Corte, confermando la decisione di merito, evidenzia che gli studi di settore rappresentano solo uno degli strumenti utilizzabili per accertare maggiori redditi in via induttiva in presenza di una contabilità formalmente regolare ma sostanzialmente inattendibile e pertanto all’Ufficio non è precluso l’utilizzo di elementi presuntivi in base ai quali si possa riscontrare l’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha stabilito che “Va rimarcato che fra gli elementi presuntivi semplici utilizzabili ai fini accertativi, purché gravi, precisi e concordanti, rientrano senza dubbio quelli relativi all’impiego di materiale di consumo, ove indicativi di rilevanti incongruenze tra costi e ricavi e, quindi, di attività non dichiarate o di passività dichiarate, secondo canoni di ragionevoli probabilità”. Il giudice di secondo grado, pertanto, aveva adeguatamente valutato il calcolo dei guanti effettuato dall’Ufficio poiché erano stati considerati gli acquisti effettuati nel periodo d’imposta, erano stati detratti i pezzi di misura più piccola destinati all’assistente e una percentuale di scarto pari al 10%. Il risultato era stato poi confrontato con il numero dei tovaglioli e degli aspira-saliva acquistati, al fine di determinare le presumibili prestazioni complessivamente eseguite, anche sulla base delle indicazioni del contribuente e con riferimento ai valori medi risultanti dalle tariffe A.n.d.i. per l’anno d’imposta oggetto di accertamento. Secondo la Suprema Corte l’analisi effettuata dal giudice di seconde cure era da ritenersi adeguatamente motivata e non poteva essere sindacata nel merito in sede di legittimità in quanto “il ricorso per cassazione, invero, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale avendo questi solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge”. Da qui il rigetto del ricorso presentato dal contribuente e la conferma dell’accertamento.

La sentenza in commento offre lo spunto per svolgere delle brevi considerazioni sulla metodologia accertativa condotta dall’organo verificatore nel caso di specie, vale a dire quella analitico-induttiva.

I contribuenti che possono essere accertati mediante l’analitico-induttivo sono quelli che determinano il proprio reddito attraverso le scritture contabili, dunque trattasi nella sostanza di imprenditori e professionisti.

Le fonti normative di riferimento sono l’art. 39 c. 1 del D.P.R. 600/73 per le imposte dirette e l’art. 54 del D.P.R. 633/72 per l’IVA.

In sostanza l’organo verificatore procede alla verifica delle scritture contabili del contribuente e la ricostruzione del reddito d’impresa (o di lavoro autonomo) viene effettuata senza disattendere il loro contenuto, vale a dire ritenendo la contabilità attendibile, cioè in grado di rappresentare, senza eclatanti distorcimenti, la situazione economico-patrimoniale del contribuente provvedendo a recuperare a tassazione singole componenti reddituali che siano tassate o dedotte in modo non conforme alla legge. L’Agenzia delle Entrate, dunque, procederà, mediante l’avviso di accertamento, alla tassazione di componenti positive che il contribuente non abbia esposto nella propria dichiarazione (è il caso di cui all’Ordinanza commentata) ovvero negherà la deduzione di singole componenti negative (ad es. un costo sostenuto per l’acquisto di un bene o di un servizio ad uso esclusivamente privato, comunque contabilizzato e dedotto in sede fiscale) che, pur transitate nella contabilità e pur formalizzate nel conto economico, non possono concorrere, per differenti ragioni (ad es. difetto di competenza, difetto di inerenza, ecc.) alla determinazione del reddito d’impresa (o di lavoro autonomo).

Avv. Maria Pia Raffaele

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