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Da Ruvo di Puglia a Trento, il fisico medico Francesco Fracchiolla: «Vi presento lo spread phantom»

Sulla rivista specializzata MedicalPhysicsWeb, diverse settimane fa, è stato pubblicato un articolo dedicato allo spread phantom, un dispositivo messo a punto da un gruppo di fisici e medici del Centro di Protonterapia dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento.

Membro di questo team e co-designer dello spread phantom, strumento utile nella protonterapia, è Francesco Fracchiolla, fisico medico trentenne, di Ruvo di Puglia. «Il mio lavoro consiste nell’operare a stretto contatto con i medici in ospedale, nei reparti di radiologia, medicina nucleare e radioterapia, per garantire un elevato standard qualitativo nei trattamenti dati ai pazienti» ci racconta.

Francesco Fracchiolla

Prima di parlarci dello spread phantom, può spiegarci cosa è la protonterapia?
«La protonterapia è una branca della radioterapia: è una tecnica di trattamento riconosciuta e utilizzata in tutto il mondo per trattare pazienti oncologici. Mentre nella radioterapia convenzionale si usano raggi X per irradiare i tumori, nella protonterapia, si usa un acceleratore di protoni, con cui si colpiscono i tumori. I protoni hanno un’efficienza radiobiologica maggiore rispetto ai raggi X, cioè per ottenere lo stesso risultato si eroga meno energia al paziente. Questo comporta che i tessuti sani, vicini al tumore, non sono intaccati – o lo sono in minima parte – dal trattamento. Ma questo non significa che dobbiamo buttare via anni di radioterapia e convertirci alla protonterapia, che ha i suoi punti deboli. Ecco, si tratta di una tecnica di cura dalle enormi potenzialità. Siamo solo all’inizio di un percorso affascinante: e pensare che è stato al terzo anno di studi universitari che ho scoperto che i protoni potevano essere impiegati nella terapia antitumorale. E la mia tesi di laurea magistrale è stata dedicata a questo argomento».

Veniamo allo spread phantom. Come funziona e perché tanto interesse da parte della comunità scientifica?
«Lo spread phantom è frutto dello studio, della ricerca e sperimentazione condotti da me e dai miei colleghi. E ci son voluti sei mesi per sviluppare l’hardware e del software dello spread phantom.

Ogni mattina i fisici eseguono dei test sulla macchina di trattamento al fine di assicurarsi che le caratteristiche del fascio di protoni siano nelle specifiche per poter trattare in sicurezza i pazienti. In passato, effettuavamo questi controlli con tre strumenti diversi, molto costosi, che richiedevano circa 45/50 minuti.

Lo spread phantom

Io e un mio collega, Nicola Bizzocchi, con l’aiuto del dottor Marco Schwarz e del fisico Carlo Algranati, abbiamo ideato e costruito uno strumento per effettuare questi stessi controlli in soli venti minuti. Riducendo, così, oltre al tempo di esecuzione dei controlli e al numero di strumenti utilizzati, anche il costo della strumentazione utilizzata. Questo non è andato a scapito della qualità dei controlli, che rimane sempre elevata.

Penso che proprio questo triplice vantaggio abbia indotto la nota rivista MedicalPhysicsWeb, appunto, a dedicarci un articolo. Il giorno dopo, infatti, ho ricevuto una richiesta legata a questo strumento dal Centro di Protonterapia del Sudafrica».

Maturità a pieni voti presso il Liceo Scientifico “O. Tedone”, laurea cum laude in Fisica presso l’Università degli Studi di Bari nel 2011, specializzazione in Fisica Medica alla Sapienza di Roma nel 2016. Questo è il curriculum di Francesco.

«I quattro anni di specializzazione – ora ridotti a tre – a Roma sono stati molto intensi. – prosegue – I costi sostenuti per specializzarmi sono stati coperti dalla borsa di studio, presso il Centro di Protonterapia dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento, che, nel frattempo, avevo vinto: ho potuto, così, studiare e lavorare, con maggiore serenità. Poi, dopo alcuni anni come borsista, nel 2017 vinco un concorso a tempo determinato come fisico medico nello stesso Centro, dove, attualmente lavoro».

I ricercatori italiani sono molto apprezzati, nel mondo, per la propria preparazione ma, ironia del destino, non hanno la giusta considerazione proprio nella nazione in cui si sono formati. E’ un luogo comune o fotografa la realtà?
«Dipende da cosa vuoi fare e in che ambito operi. Certo è che la maggior parte dei miei amici fisici, con cui ho studiato, sono all’estero. È raro avere in Italia la giusta gratificazione lavorativa, dopo anni di studi intensi e appassionanti.

La cosa più triste, secondo me? L’Italia ha un sistema di formazione di altissima qualità: ne è un esempio la facoltà di Fisica, a Bari. Ma abbiamo un sistema che non tutela la grande ricchezza che si viene a generare negli Istituti di ricerca.

Il risultato qual è? Che le altre nazioni si ritrovano tra le mani professionisti e studiosi altamente specializzati, per cui non hanno speso alcun euro. Ringraziano e si portano a casa i frutti di tutto quello che l’Italia ha speso per rendere così appetibili queste eccellenze. Questo è triste.

Per quanto riguarda i fisici medici, devo dire, tuttavia, che, in Italia, ci sono maggiori possibilità rispetto a un fisico teorico, particellare etc. Di fisici medici c’è sempre richiesta e, se sei disposto a spostarti in un’altra regione, a fare qualche sacrificio all’inizio e sei un po’ testardo, le soddisfazioni arrivano, prima o poi».

Lei le ha trovate a Trento: un’isola felice?
«Trento è il posto, in Italia, che mi ha permesso di realizzare quello che avevo deciso di fare al terzo anno di università, quindi sì, è la mia isola felice. Il posto in cui lavoro è davvero unico e speciale. Ai più sconosciuto, ma è un fiore all’occhiello della nostra nazione che dovrebbe essere maggiormente valorizzato.

Quando è nato, ce lo hanno invidiato in tutto il mondo e gli addetti ai lavori qui, in Italia, secondo me, non gli danno ancora la giusta importanza. Abbiamo una Ferrari e la usiamo solo per andare a fare la spesa. Mi auguro che con il tempo e con un po’ più di apertura mentale, questa tecnologia divenga sempre più accessibile a tutti».

Collaborate anche con Università e Istituti di ricerca stranieri?
«Sì. Vengono molti ricercatori e fisici medici da Gran Bretagna, Olanda, Francia, USA, Argentina, Svezia, Arabia Saudita, India. Principalmente, per acquisire l’esperienza necessaria alla gestione di Centri simili che nasceranno nelle loro nazioni, ma anche per progetti di ricerca.

Per quest’ultimo scopo, il nostro Centro è dotato anche di una stanza sperimentale in cui un gruppo dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, associato con l’Università di Trento e l’Azienda Sanitaria Trentina, effettua esperimenti di radiobiologia ed esperimenti per testare materiali che saranno, poi, utilizzati in ambito aerospaziale. Pur essendo un Centro clinico, quindi, una buona fetta è dedicata alla ricerca che rimane l’unico modo per evolvere e migliorarsi sempre di più».

Dopo lo spread phantom, le sue energie e il suo studio verso quali progetti stanno confluendo?
«Al momento, mi sto dedicando al trattamento protonterapico su organi “in movimento”, che si muovono, cioè, col respiro del paziente, quali fegato, polmone, pancreas. Stiamo testando e validando un sistema che permette di erogare il fascio di protoni solo in alcune fasi respiratorie, nelle quali sappiamo che il tumore è nella posizione che ci interessa. Sfrutteremo telecamere a infrarossi per monitorare la superficie del paziente e, quando questa si trova entro determinate soglie, stabilite in precedenza, il fascio viene abilitato e il tumore irradiato.

Nel nostro Centro stiamo anche implementando la cosiddetta IMPT (Intensity Modulated Proton Therapy), una tecnica complessa che permette di aumentare di molto la qualità della dose erogata al paziente: si riesce sempre di più a risparmiare gli organi sani e a irradiare, in maniera omogenea, il tumore. Questi due percorsi sono la prova che la protonterapia è in piena fase di sviluppo. D’altronde, è quanto avvenuto per la radioterapia, agli albori del suo sviluppo. C’è tanto lavoro da fare per poter dare cure sempre più efficienti e di qualità».

Chi è Francesco Fracchiolla, smesso il camice del fisico medico?
«E’ un ragazzo che ama il trekking. In Trentino, ho scoperto la montagna, tanto che ho preso una casa tra i boschi: TV è assolutamente vietata. Ho cominciato a fare escursioni in montagna e alta montagna e lo ho trovato davvero affascinante e avventuroso; a volte, è un po’ pericoloso, ma fa parte dell’avventura.

In questi anni ho anche preso un brevetto di sub e uno come apneista. Leggo tanto e la passione del disegno è sempre lì: ogni tanto torna a farsi sentire. Sono un grande appassionato di film, quindi il cinema resta una mia debolezza a cui mi piace cedere. Infine, sto riscoprendo il piacere del viaggio in compagnia della mia ragazza, Raffaella, con la quale stiamo esplorando, pian piano, mezza Europa».

Cosa consiglia a un ragazzo che intenda intraprendere il suo percorso?
«Gli consiglio, semplicemente, di seguire la propria passione e di coltivarla con abnegazione e coerenza. Se avessi scelto la strada economicamente più vantaggiosa, non avrei mai studiato fisica; se non avessi avuto voglia di continuare a studiare, dopo la laurea, non avrei scelto di fare altri quattro anni di Scuola di Fisica Medica; se non avessi messo in conto di rinunciare o allentare legami con la mia terra, non mi sarei trasferito a Trento.

Però ora, guardando indietro, sono contento di aver fatto quelle scelte perché mi sono costruito una indipendenza economica, faccio con passione il lavoro che ho sognato ed essermi trasferito mi ha permesso di conoscere persone straordinarie da un punto di vista lavorativo e affettivo.

Scegliete quello che vi piace fare e fatelo con tutto voi stessi e non rimpiangerete alcuna scelta. La mia paura più grande è che un giorno, guardandomi indietro, io possa avere dei rimpianti. Al momento, nessun rimpianto e ne sono felice».

 

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