Cultura

Nunzia Antonino è una magnifica Demetra ne “Il seme del melograno”

Con “Il seme del melograno”, monologo-lettura di un’intensa e “materna” Nunzia Antonino, si è inaugurata la rassegna teatrale “Vedo il mare laggiù – Attraversamenti teatrali”, a cura dell’Associazione Teatrale Kuziba, inserita in “Relazioni”, la programmazione estiva culturale organizzata dagli Assessorati alla Cultura e alle Politiche Sociali del Comune di Ruvo di Puglia.

“Il seme del melograno” è dedicato al celeberrimo mito di Demetra e Persefone che spiega la nascita delle stagioni, il ciclo perenne di Vita e di Morte o la ricerca dell’immortalità, al centro dei Misteri Eleusini dedicati alle due divinità.

Le finestre scure dell’ex Convento dei Cappuccini, in Piazzetta Turati, avvolto nella luce blu-violacea con cui il regista Carlo Bruni curava la scena, piangevano con Demetra, la dea del grano e dei raccolti, alla ricerca dell’adorata figlia Persefone, splendida creatura danzante tra i fiammeggianti papaveri di Sicilia con le sue amiche, rapita dal dio degli Inferi, Ade, innamoratosi di lei. La Bellezza che commuove e sconfigge la Morte? Senza dubbio, ma “Il seme del melograno” narra il dolore di una Madre, di una dea umana che ama sedersi al desco dei contadini da lei beneficati con abbondanza di messi, che si addolora quando vede una semplice seggiola di legno vuota, ma sorride, benevola, a un neonato. I miracoli della Morte e della Vita. Perché la Morte, il buio non sono orridi: il seme muore e nasce la pianta; sotto la coltre nevosa, vibrano germogli di vita che preannunciano la primavera.

«Kora! Kora!» è il vezzeggiativo di Persefone, usato da Demetra e dal padre Zeus, pronunciato con tenerezza e gioia, gridato con disperazione nel viaggio di Demetra alla ricerca della figlia scomparsa, tra l’Attica e la Sicilia, incontrando le potentissime Moire, sulle cui decisioni neanche gli dei possono influire; beneficando una potente famiglia decaduta che la accoglie nel suo peregrinare. E, intanto, la Natura avvizzisce. Poi la scoperta: Persefone è stata rapita dal dio Ade. Invitato da Zeus, tramite Ermes, Ade si persuade a lasciare andare l’amata fanciulla. Un gesto d’amore, che rende umano il terribile dio della Morte, ma i sette chicchi di melograno mangiati da Persefone nel giardino dell’Ade sono la fede nuziale dell’unione tra la Vita e la Morte. Per quei chicchi, Persefone dovrà rimanere per sei mesi negli Inferi e per sei mesi dovrà tornare con la Madre. Per sei mesi, sulla Terra l’autunno e l’inverno domineranno con i loro colori, i loro suoni e profumi; per altri sei mesi, la Natura fiorirà con la primavera e l’estate.

Il monologo di Nunzia Antonino cattura il pubblico, grazie anche alle movenze dell’attrice, avvolta in un abito “Atelier 1900”, impreziosito da un foulard fiorato che fluttuava nelle corse con Persefone e copriva le spalle cadenti di una madre disperata.

Nunzia Antonino ha già donato al pubblico del Teatro Comunale di Ruvo di Puglia intensi ritratti femminili (Lenor, Else). E anche con “Il seme del melograno” ha restituito diversi profili di donna: Demetra, Persefone, la regina decaduta e anche le tre Parche. Il monologo-lettura evoca anche le Metamorfosi di Ovidio, quando narra della trasformazione in lucertola di un giovane arrogante e in barbagianni del demone Ascalafo e spiega anche l’origine di un piatto tipico pugliese, la colva, preparata con chicchi di grano e melagrana, mandorle e cioccolato e gustata il Due Novembre, giorno dedicato alla Commemorazione dei defunti. Il melograno compare, d’altronde, in molte raffigurazioni antiche dell’Aldilà, quale simbolo di immortalità, intesa come ricordo perenne e vivo di una persona scomparsa.

La colva è l’abbraccio tra Demetra e Persefone. Ma la colva è anche uno dei piatti preparati per il convivio che è seguito allo spettacolo e che sarà il filo rosso di tutta la rassegna “Vedo il mare laggiù”. Il cibo, infatti, simboleggia la condivisione, la vicinanza con l’altro come lo è il mare che, dalle alture di Ruvo di Puglia, è ben visibile.

«Il titolo di questa rassegna – spiega Raffaella Giancipoli di Kuziba Teatro – evoca l’apertura verso altri orizzonti, verso quello che si vede oltre la crepa di un muro, un “altro” diverso e bello per questo. Ringraziamo l’Assessora alla Cultura Monica Filograno e l’Amministrazione Comunale tutta per il supporto dato a noi e a tutti gli artisti, spesso lasciati soli. Siamo in tre (Giancipoli, Bruno Soriato e Annabella Tedone, ndr) e se siamo riusciti a organizzare questo evento, lo dobbiamo anche al supporto di diverse persone, preziosissime. Ringrazio anche la Confcommercio che ci sta supportando».

“Vedo il mare laggiù” ritorna giovedì 27 luglio, alle 21.00, in Largo Annunziata, con lo spettacolo “La storia di Taborre e Maddalena” (Del raccontar mangiando) con la Compagnia Armamaxa Teatro e Casarmonica.

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