Religione

L'EDITORIALE DI LUCE E VITA: "Dialogo ebraico-cristiano: la Decima Parola"

Pubblichiamo l’editoriale di “Luce e Vita” di questa settimana, firmato da Giovanni De Nicolo.
Negli ultimi anni il dialogo tra Cattolici ed Ebrei è stato intensificato dopo la decisiva svolta conciliare, in particolare dal 1974, anno di creazione della Commissione vaticana per i rapporti religiosi con l’ebraismo. Oggi, sotto la spinta di papa Francesco, dei convegni che vedono la presenza di Cattolici e Ebrei insieme per rileggere la storia e conoscersi meglio, della celebrazione della Giornata del 17 gennaio, si può parlare di amicizia e fraternità tra Chiesa e mondo ebraico. 
Quest’anno la riflessione è sulla decima parola di Es 20,17: «Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo». 
Nell’impegno comune di purificare i nostri desideri, orientandoli nel disegno di Dio, prosegue in questo modo il cammino del dialogo attraverso le giornate iniziate vent’anni fa’ su volontà della commissione ecumenica della Conferenza Episcopale Italiana, presieduta dal Vescovo di Livorno Alberto Ablondi. È un’occasione per rinnovare «la nostra fedeltà ai principi e ai precetti che, con distinte peculiarità, caratterizzano le nostre fedi» (B. Forte). Il percorso in atto è una realizzazione concreta di quel «dialogo fraterno» di cui parlava la Dichiarazione conciliare Nostra Aetate. 
Il sussidio presentato quest’anno per tale Giornata contiene due meditazioni esegetiche: una del Rav Giuseppe Momigliano, presidente dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia, l’altra di p. Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli. 
Secondo il primo, mettere in pratica i precetti biblici richiede «un impegno globale della persona, nelle azioni, nelle parole e nel pensiero». Siamo nella seconda parte del Decalogo che riguarda i rapporti tra gli uomini. C’è un’estensione, nel pensiero, a quella «responsabilità che abbiamo di non nuocere in alcun modo al prossimo» non solo con le azioni e con le parole (omicidio, furto, adulterio, falsa testimonianza), ma neppure col pensiero «con i sentimenti di invidia verso ciò che appartiene ad altri e col desiderio di entrarne in possesso». Il decimo comandamento ha delle varianti in Deuteronomio 5,18, dove si dà la precedenza alle donne sposate sulla casa, nella proibizione del desiderio. Per l’autore la casa indica «tutta la sfera della vita privata di una persona, che non deve essere in alcun modo oggetto di invidia e desiderio da parte di estranei». È importante la collocazione di questo comandamento a chiusura dei dieci, per dire che esso contiene tutti gli altri «e chi lo osserva pienamente può essere considerato come persona che rispetta tutte le leggi del Signore».
Il monaco Ferrari ricorda che i nostri nono e decimo comandamento, nell’ebraismo sono la decima parola del Decalogo. Al centro di esso è il desiderio che, di per sé, non è negativo, ha in sé potenzialità positive e indispensabili per l’uomo e per la donna. Nella Bibbia leggiamo: «Non privarti di un giorno felice, non ti sfugga nulla di un legittimo desiderio» (Sir 14,14). Il desiderio ha bisogno di cura per rimanere a favore della vita. In tal senso, «il comandamento “non desidererai” è un’educazione al desiderio, non un divieto di desiderare».
La versione del comandamento nel Deuteronomio evidenzia «il non desiderare la moglie del prossimo prima della casa». La tradizione cattolica sembrerebbe preferire questa versione che ha portato alla formulazione distinta degli ultimi due comandamenti. Ciò che dovremmo recuperare, secondo il monaco camaldolese, è una lettura ampia del tema del desiderio. «La decima Parola mette in guardia dalla bramosia di impossessarsi di ciò che appartiene all’altro, non solo nella prospettiva del furto, ma della inviolabilità della persona umana in modo più globale». Da non trascurare come questo precetto, che esclude la bramosia, radice ultima dell’idolatria, invita a prendersi cura dei propri desideri, di ciò che avviene nella propria interiorità al fine di vivere «una vita umana autentica nella relazione con Dio e con il prossimo».

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