Attualità

Irene Tamborra, una scienziata ruvese che studia l’Universo

Margherita Hack, la grande astrofisica, lo aveva detto: «Tutta la materia di cui siamo fatti noi l’hanno costruita le stelle, tutti gli elementi, dall’idrogeno all’uranio, sono stati fatti nelle reazioni nucleari che avvengono nelle supernovae, cioè queste stelle molto più grosse del Sole che, alla fine della loro vita, esplodono e sparpagliano nello spazio il risultato di tutte le reazioni nucleari avvenute al loro interno. Per cui noi siamo veramente figli delle stelle».

E lo conferma anche Irene Tamborra, di trentatré anni da Ruvo di Puglia e una vita dedita allo studio dell’Universo.

Attualmente è Professoressa di Fisica delle Astroparticelle al “Niels Bohr Institute”, presso l’Università di Copenaghen.  Irene ci conduce in un viaggio affascinante, tra supernovae e neutrini, e dà preziosi suggerimenti.

«E’ un onore per me insegnare nell’Istituto fondato da Bohr, un fisico straordinario e uno dei padri della Meccanica Quantistica. Scienziati da tutto il mondo vengono qui per rendere omaggio al posto dove, nella prima meta’ del secolo scorso, sono stati posti i pilastri della Fisica Moderna. Io faccio ricerca in astrofisica del neutrino. I neutrini sono particelle elementari che interagiscono molto debolmente con il resto della materia, però sono le più abbondanti nel nostro universo, dopo i fotoni. Essi hanno un ruolo fondamentale nelle stelle e nella formazione di tutti gli elementi come l’idrogeno, l’elio e così via. Potrebbe sembrare strano, ma se noi esistiamo è proprio grazie ai neutrini! Il nostro sole, per esempio, splende grazie ai neutrini prodotti al suo interno.

Io e il mio gruppo di ricerca studiamo il loro ruolo negli eventi più energetici e spettacolari del nostro Universo, come le esplosioni di supernovae e gamma-ray bursts. Simuliamo al computer quello che i neutrini fanno nelle stelle molto massive, prima che queste ultime esplodano in supernovae e, poi, testiamo le nostre teorie, confrontandole con il segnale che si dovrebbe vedere in neutrini sulla Terra, attraverso detector giganti costruiti appositamente per rilevarli».

Narrami del tuo percorso di studi.
«Ho studiato Fisica e ho conseguito il Dottorato di ricerca all’Università degli Studi di Bari. In quel periodo, grazie ad una borsa di ricerca assegnatami dalla “Società Italiana di Fisica”, ho avuto la possibilità di trascorrere alcuni mesi al “Max Planck Institute for Physics”, a Monaco di Baviera, in Germania. Quella esperienza per me è stata altamente formativa e mi ha aperto la strada verso una carriera internazionale. Prima ancora di terminare il dottorato, poi, ho vinto una borsa di ricerca per post-dottorato molto prestigiosa, assegnata dalla “Alexander von Humboldt Foundation”, una fondazione tedesca. Quella borsa mi ha consentito di tornare per altri due anni a Monaco per fare ricerca, autonomamente, in uno dei posti più importanti a livello mondiale in questo settore. Poi ho lavorato all’Università di Amsterdam, in Olanda, per due anni, prima di trasferirmi a Copenaghen. Quando sono arrivata qui, ho vinto una borsa molto importante per mettere su un mio gruppo di ricerca».

Una carriera accademica vissuta soprattutto all’estero. 
«Secondo me, uno scienziato non può essere tale se non ha alle spalle una formazione internazionale. Quando i nostri politici parlano di “cervelli in fuga” che, invece, dovrebbero restare in Italia, penso che così facendo non facciano del bene alla ricerca italiana. Dopo un periodo di formazione all’estero, uno scienziato porta in Italia più competitività, maggiore professionalità, nuovi approcci alla ricerca e un network di nuovi collaboratori. Una delle caratteristiche più belle della scienza è che non ha nazionalità. E’ anche vero che, fuori dall’Italia, meritocrazia, trasparenza e competitività sono premiate e considerate virtù».

Uno dei motivi per cui molti cervelli femminili emigrano è anche la difficoltà di infrangere, in Italia, il tetto di cristallo, di raggiungere posizioni accademiche, nel tuo caso, elevate. Cosa pensi a riguardo? E’ una realtà che riguarda anche l’estero? E, secondo te, cosa si può fare nel concreto per abbatterlo?
«Questo è sicuramente vero in Italia, ma è vero anche all’estero. Fare carriera per una donna in STEM, cioè in fisica, matematica, informatica, ingegneria, è estremamente complicato in ogni dove, per via dei pregiudizi esistenti nella nostra società. C’è la falsa credenza, alimentata sin dall’infanzia, che le donne non siano portate per le materie scientifiche, che non possano ricoprire incarichi manageriali, che non sappiano programmare e non siano brave in matematica. In Italia, a questo si aggiunge la corruzione e il nepotismo, talvolta presenti in ambito accademico. E’ un peccato, perché la formazione accademica impartita in Italia è tra le migliori al mondo.
Io credo che sia fondamentale educare i bambini alla scienza e insegnare loro che questo è un mondo affascinante. I genitori, anziché ricoprire le loro figlie di bambole, principesse e cucine in miniatura, potrebbero leggere loro favole sulla vita delle grandi scienziate, libri di divulgazione scientifica o regalare un telescopio o un microscopio. E incoraggiarle, se hanno delle passioni. In ambito accademico, i cervelli femminili dovrebbero non piegarsi ai ricatti ed evitare di intraprendere strade in apparenza facili per fare carriera.
Vorrei anche dire a tutte le giovani donne interessate ad intraprendere una carriera scientifica di avere coraggio e realizzare i propri sogni e non ascoltare chi dice “sei una donna, queste cose non fanno per te”. C’è una rete spesso invisibile, ma molto fitta di donne scienziate – e di uomini che le supportano – che combatte ogni giorno le discriminazioni. E’ un percorso faticoso, che richiede sacrifici, ma è anche molto appagante.

Gli insegnanti hanno un ruolo fondamentale in questo: dovrebbero essere un esempio e incoraggiare le studentesse, nutrendo le loro aspirazioni».

Prevedi la possibilità di ritornare in Italia?
«Non lo escludo,  se ne avrò voglia e mi venisse offerto il necessario per continuare a fare quello che mi piace, il mio lavoro, onestamente e senza dover scendere a compromessi».

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