Attualità

In edicola “Una Charta sulla Città e i suoi Paesaggi”. Nicola Cesareo: «Visioni e proposte per la città»

È disponibile gratuitamente da questo mese nelle edicole di Ruvo di Puglia “Una Charta sulla Città e i suoi Paesaggi”, redatta dalla Fondazione “Angelo Cesareo” e dedicata alla Bellezza di Ruvo di Puglia e del suo agro.

Consegnata lo scorso agosto al sindaco Pasquale Chieco nel corso della terza edizione del recital operistico-strumentale “A nonna Maria – Melodie, battiti d’ali di una rondine” organizzato dalla Fondazione,  la “Charta” è un complesso di linee guida con cui si vuole dare un contributo innovativo e profondo al Piano Urbanistico Generale, ancora in fase di discussione nell’assise comunale a Palazzo Avitaja (l’ultima seduta si è tenuta lo scorso 26 novembre).

Con il professor Nicola Cesareo, presidente della Fondazione, parliamo della “Charta”, elaborata con la consulenza del geologo Vincenzo Jurilli e corredata da stralci dell’ “Inno alla gioia” di Beethoven su versi di Schiller e dalle “narrazioni aurorali” del pittore Domenico Scarongella.

Perché la Fondazione ha scritto una “Charta sulla Città e i suoi Paesaggi”?

«Perché c’è l’assenza indolente di una visione. Abbiamo avvertito la necessità di scrivere la Charta – e lo abbiamo fatto durante un ritiro spirituale nella Masseria “La Ferrata”, a stretto contatto con la natura, perché abbiamo notato come manchi nella nostra storia una visione della città e del paesaggio. Manca l’inquieta domanda “Cosa è la città?” Interno? Esterno? Qual è il destino dell’uomo rispetto alla città? Ci sono i PUG, ma questi sono solo strumenti tecnici operativi, non esprimono una visione. E il PUG deve rispondere a una visione.

Poi stiamo vivendo un’epoca in cui l’homo faber, l’uomo capace di trasformare la natura, è diventato homo febricitans, preso dalla smania di dominare tutto, di piegare il mondo. Invece l’homo faber deve diventare homo figurans, uomo visionario che sa cambiare il mondo e ha una visione di sé in questo stesso mondo, una visione armonica. La Charta diventa, quindi, narrazione dell’homo figurans, dell’uomo visionario, del nuovo modello di umanità che non cancella ma sostituisce l’homo faber».

La Charta è stata dedicata ad Antonietta la Pannarole, Umbert Fec’lir, Zator e agli altri personaggi “più umili” della città: perché?

«Lo sguardo dell’uomo figurans, dell’uomo visionario è uno sguardo dal basso, lo sguardo dei semplici e dei reietti, di coloro che abitavano l’ospizio di mendicità ai Cappuccini, per esempio. L’uomo reietto ha la radicalità dell’essere: non ha conoscenza, non ha ricchezze ma sogna la bellezza, il Paradiso in terra. E i sogni narrano la speranza, che è la memoria declinata al futuro. E gli umili, gli angeli degli jusi, i nostri nonni partirono per terre lontano proprio perchè guidati dalla speranza di donare un futuro migliore ai figli. Quindi la Charta è dedicata a chi ha sognato la speranza, a chi ha espresso l’essenza umana nella sua purezza».

La Charta è proposta come «radici nella Terra per futuri germogli e viti». Quali sono queste radici?

«Innanzitutto occorre fare una premessa: questo è non solo un documento di utopia, di quello che non c’è ma che sarà perché possibile, ma  anche di eutopia che si esprime come presente promozione di luoghi di bellezza.

Noi sui tre regni del Cielo, della Terra e del Sottosuolo abbiamo dei diritti che trovano un limite, tuttavia, nei diritti degli altri ma anche nella stessa essenza dei tre regni. Noi abbiamo diritto alla Bellezza – la prima radice – e dobbiamo tutelare questo diritto alla capacità di far interagire Cielo, Terra e Sottosuolo. E la città è il luogo che interagisce con la natura. Dal paesaggio devi aprirti alla città e viceversa perchè sono luoghi che hanno pari dignità. La Bellezza, poi, non è quella che piace alla vista adulterata da canoni prestabiliti. La Bellezza è interpretazione del particolare e si coglie in quel luogo scarno, brullo o in uno juso. La bellezza di un volto, di un paesaggio, di un manufatto è quella disegnata dal tempo. Il viso rugoso di una persona è bello perchè è specchio della sua vita; penso anche al colore dorato, al colore “del Tempo” della Cattedrale prima che venisse sottoposta al processo di sbiancatura. Ora se il Tempo è inquietante perché sottrae vita e se il Tempo disegna la bellezza, ne consegue che la Bellezza autentica è inquietante, è meraviglia e terrore. E penso che chi progetta una città debba farsi maravigliare e debba consentire agli altri di maravigliarsi dei luoghi nella loro autenticità, senza distruggerli.

La Charta non è ancorata al passato, ma accoglie e trasmette al futuro. Inoltre essa segue un discorso etico, esprime il sogno di una città riconoscibile ovunque e da chiunque, in simbiosi con la campagna (città verso campagna e campagna verso città, la seconda e terza radice). La quarta radice  è quella della città da intendersi come insieme di periferie-marginalità (non c’è più un centro) che dovranno perciò cercare nuove possibili e dinamiche configurazioni di relazioni: fondamentale, quindi, è la cultura dal basso».

«Invito, quindi, a leggere  la Charta – conclude Cesareo – perché, a partire dalla sua coerente e radicale visione, dai suoi assi,  si confronta criticamente con il PUG e fa una breve ricognizione della recente nostra storia , con gli scempi e oltraggi alla nostra città, nella generale connivenza e indifferenza. Pertanto è come se volesse risvegliare l’amore per il nostro territorio nella sua bellezza autentica. Inoltre, si trovano concrete proposte  che vanno dai diversi tipi di parco a un nuovo modello di biblioteca».

 

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