COLDIRETTI PUGLIA, TUTTI I CONTADINI SONO CAPORALI? BASTA CAMPAGNE DENIGRATORIE SENZA FRONTIERE
“Ogni anno in questo periodo viene innescata ad orologeria la campagna denigratoria contro l’agricoltura e l’agroalimentare di Puglia che, da testimonial dell’economia regionale e addirittura leve di attrazione turistica, divengono d’un tratto bacini di criminalità e crudeltà ad opera di imprenditori schiavisti. Negare l’esistenza del lavoro nero e del caporalato in Italia sarebbe un reato, ma sciorinare numeri su fenomeni illeciti e, quindi, occulti, affermando che centina di migliaia di lavoratori sono ridotti in schiavitù e che il 39% delle imprese agricole pugliesi fa ricorso al caporalato è un reato altrettanto grave contro un mondo che lotta per contrastare un’aberrazione strisciante che arreca danno ai lavoratori e alla migliaia di aziende agricole sane che nulla hanno a che fare con i caporali e contro l’immagine stessa della Puglia a livello nazionale e internazionale”, è la risposta del Presidente di Coldiretti Puglia, Gianni Cantele, alla nuova ondata di discredito senza frontiere, partita in occasione dei momenti pubblici in ricordo della morte della povera bracciante agricola Paola Clemente.
“Sono tante le azioni comuni da intraprendere – ha aggiunto Cantele – per arginare il problema della intermediazione di manodopera e far incontrare in maniera trasparente domanda e offerta di lavoro, a partire dal trasporto dei lavoratori nei campi che rappresenta un aspetto fondamentale del business dei caporali, facendo controlli mirati, in particolare nei confronti delle cooperative senza terra che svolgono solo ed esclusivamente servizi agricoli, pulendo le sacche di grigio in tutti i segmenti del lavoro”.
In Puglia in 5 anni è aumentata del 6% il numero degli occupati in agricoltura – rimarca Coldiretti Puglia – passati dal 2012 al 2017 da 626mila a 663mila unità, sono cresciute del 7 percento le giornate di lavoro, passate da 14,6 milioni del 2014 a 15,7 milioni del 2016, mentre il numero delle aziende assuntrici di manodopera è aumentato di 182 unità “Piuttosto, vanno fatti rispettare i contratti di lavoro su base provinciale – incalza il Direttore di Coldiretti Puglia, Angelo Corsetti – che, oltre a prevedere aumenti retributivi su livelli sostenibili per le imprese agricole in questo periodo di difficile congiuntura economica, tengono conto delle realtà delle organizzazioni dei lavori aziendali, con le relative figure professionali occorrenti per lo svolgimento delle pratiche colturali per produzioni di qualità senza penalizzare i lavoratori. Avviata, tra l’altro, una fase sperimentale di attuazione dell’accordo che permetterà, attraverso un osservatorio costituito ad hoc, la valutazione oggettiva dell’aumento occupazionale prodotta”.
E’ stato, tra l’altro, rinnovato il contratto nazionale – sottolinea la Coldiretti – con una particolare attenzione alle imprese e gruppi di imprese plurilocalizzate in più province e regioni che potranno finalmente contare su un unico strumento contrattuale aziendale anziché dover applicare una pluralità di contratti provinciali e una maggiore flessibilità nella gestione dell’orario di lavoro raggiunto anche con l’allargamento delle causali che consentono l’interruzione della prestazione giornaliera estendendole a quelle relative a cause tecniche ed organizzative e non solo alla forza maggiore. Gli aumenti salariali – conclude la Coldiretti – sono previsti nella misura di 1,7% a decorrere da luglio 2018 cui si aggiunge un ulteriore 1,2% da aprile 2019.
“Ciò dimostra che l’agricoltura pugliese è capace di offrire prospettive di lavoro – conclude Corsetti – in un comparto strategico per l’economia del Paese. In uno scenario reso sfavorevole da crisi di mercato, accordi internazionali negativi, clima impazzito con bruschi cambiamenti delle condizioni meteorologhe, il mondo economico e lavorativo nel suo complesso va accompagnato da azioni concrete, perché le imprese agricole hanno bisogno oggi più che mai dei lavoratori e di condizioni di mercato del lavoro che siano realmente sostenibili, considerato che in Italia la tassazione sul lavoro stagionale è più alta di quella che esiste in Paesi come Francia e Spagna”.